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Bonus, mea culpa delle banche

di Alessandro Merli

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31 mazo 2009

Gli eccessi dei bonus e dei compensi dei banchieri rimbalzano sul tavolo del G-20 di Londra. E, come ha detto il presidente americano Barack Obama ai capi delle grandi banche Usa convocati venerdì sera alla Casa Bianca, «gli eccessi sono fuori moda. Il settore deve mostrare di averlo capito». Ora i banchieri, forse troppo tardi, sotto la pressione dell'opinione pubblica per uno degli aspetti della crisi globale che ha provocato le reazioni popolari più aspre e dei Governi che sono pronti a legiferare in materia, provano a far vedere che hanno capito.

L'Institute of International Finance, che raggruppa oltre 300 delle più grandi istituzioni finanziarie globali, ha svolto un sondaggio tra gli associati: il 98% di loro ammette che la struttura delle retribuzioni può essere stata uno dei fattori alla base delle crisi. «Il settore riconosce - dice il presidente della Deutsche Bank e dell'Iif, Josef Ackermann - che la struttura dei compensi aveva delle lacune e che è necessario mettere in atto delle prassi più allineate alla nuova realtà e alle esigenze di stabilità del mercato». Il mea culpa delle banche parte da questo sondaggio della società di consulenza Oliver Wyman. L'associazione delle grandi banche ha quindi approvato una riforma le cui linee guida, del resto, riflettono i principi del Financial Stability Forum, presieduto dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che verranno avallate questa settimana dai capi di Stato e di Governo del G-20. Bisogna assicurare, dirà il comunicato del G-20, riflettendo le indicazioni dell'Fsf, che «la struttura dei compensi premi le performance "vere", sostenga una crescita sostenibile ed eviti l'assunzione eccessiva di rischi ». Basta, in altre parole, con un sistema in cui veniva premiato subito chi produceva perdite che si sarebbero scoperte solo in seguito, con l'espansione dell'attivo delle banche senza tener conto della redditività, con gli incentivi a prendere dei rischi perché a essere compensati, lautamente, erano i volumi.

Le banche, sostiene l'Iif, si stanno adeguando a un codice di condotta che la loro associazione aveva varato già nel luglio dell'anno scorso e che sostiene fra l'altro che gli incentivi devono essere allineati agli interessi degli azionisti e alla redditività «di lungo periodo» delle banche, che dove il rischio abbracci un arco di tempo di diversi anni i compensi debbano essere rinviati, che si tenga conto non solo dell'utile generato, ma anche del rischio assunto. E che le liquidazioni, i cosiddetti «paracaduti d'oro» che tanto scandalo hanno generato soprattutto negli Stati Uniti a favore dei capi di banche che poi sono fallite o hanno dovuto essere salvate con i soldi pubblici, debbano tener conto della performance realizzata per gli azionisti nel corso del tempo: niente più liquidazioni faraoniche per chi ha distrutto valore invece di crearlo.

L'intenzione dell'Iif è quella di portare avanti le riforme a livello di settore, in modo che chi muove per primo nel fare la cosa giusta non accusi uno svantaggio competitivo. «Un numero crescente di banche sta affrontando questi problemi», sostiene Charles Dallara, direttore dell'Iif. Tuttavia, l'associazione delle banche globali ritiene che tocchi al singolo istituto decidere come procedere. Ma per questo potrebbe essere troppo tardi: le parole di Obama all'incontro della Casa Bianca e quelle del primo ministro inglese Gordon Brown a un'altra riunione pre G-20 con 13 banchieri (c'era anche l'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo), ma ancora di più l'annuncio del presidente francese Nicolas Sarkozy, che sulle paghe dei manager vuol procedere per decreto, mostrano che, se l'hanno capita, i banchieri hanno poco tempo per adeguarsi prima di esservi costretti.

31 mazo 2009
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